Perché le banche (quasi) mai accettano oro fisico come garanzia
1. Questione di «categoria giuridica»
In Italia l’oro fisico—lingotti e monete da investimento—non è classificato come attività finanziaria ai sensi del TUF e delle relative disposizioni secondarie. Di conseguenza non rientra nel novero degli strumenti che le banche trattano abitualmente come collaterale (azioni, obbligazioni, depositi, ipoteche su immobili, ecc.) e richiede procedure ad-hoc che gli istituti preferiscono evitare.
2. Le regole di vigilanza non lo vietano in assoluto, ma lo rendono complesso
Le istruzioni di vigilanza su “Credit Risk Mitigation” della Banca d’Italia riconoscono l’oro fra le garanzie reali finanziarie ammissibili, a condizione che l’attività sia “dotata di adeguata liquidità e di un valore di mercato sufficientemente stabile” e che la banca possa custodirla separatamente e rivalutarla periodicamente .
In pratica, tuttavia, per rendere quel collaterale davvero «regolamentare» la banca deve:
- certificare titolo e purezza con refiner LBMA o equivalente;
- custodire il metallo in un caveau interno o di terze parti con segregazione giuridica;
- assicurarlo per furto o danneggiamento;
- ricalcolare (e “tagliare”) il valore con hair-cut prudenziale a ogni variazione di prezzo.
Tutti questi passaggi generano costi e carico operativo che, a fronte di un prestito retail o corporate non specialistico, erodono la convenienza economica per l’intermediario.
3. Rischio di prezzo e requisiti patrimoniali
L’oro è percepito come “bene rifugio”, ma il suo prezzo resta volatile: negli ultimi dieci anni le oscillazioni annuali hanno spesso superato 15 %. Per le banche ciò significa dover applicare hair-cut sostanziosi (tipicamente 20-30 %) e accantonare capitale aggiuntivo a fronte del rischio di mercato. Gli operatori che si occupano di prestiti garantiti da oro lo indicano esplicitamente fra i principali rischi di prodotto .
4. Problemi di tracciabilità e antiriciclaggio
Oro fisico di provenienza incerta è uno degli asset più appetibili per riciclaggio e finanziamento illecito. La banca deve ricostruire la “chain of custody” fino alla fonderia, acquisire documenti doganali, verificare che il cliente non stia frazionando transazioni in contanti. Il costo di compliance spesso supera il margine di un prestito standard; per questo gli istituti preferiscono collaterali già tracciati nel circuito finanziario.
5. Logistica, assicurazione e costi nascosti
Lingotti e monete vanno pesati, saggiati, eventualmente fonduti se non provvisti di numero di serie riconosciuto. Poi vanno trasportati con vettori blindati e tenuti in caveau assicurati. Tutto ciò si traduce in commissioni iniziali e ricorrenti che renderebbero il finanziamento poco competitivo rispetto a un mutuo ipotecario o a un pegno su titoli.
6. Le (poche) eccezioni: credito su pegno e prestiti d’uso
- Credito su pegno: alcune banche e società ex “banchi dei pegni” erogano micro-prestiti contro deposito di gioielli o lingotti; il finanziamento è breve (3-12 mesi) e il loan-to-value non supera il 60 %.
- Prestiti d’uso d’oro: linee dedicate alle imprese orafe, in cui l’oro serve da “materia prima” più che da garanzia; è la banca a consegnare l’oro e a riavere lo stesso peso a scadenza. Soluzione di nicchia, riservata a operatori professionali del settore.
Fuori da questi canali specializzati, la persona fisica che chiede un mutuo o un prestito personale dovrà quasi sempre offrire altre forme di garanzia.
7. Perché allora le banche centrali lo usano?
Nelle operazioni fra banche centrali l’oro è frequentemente posto a garanzia di linee di liquidità o swap: il contesto è diverso, perché i lingotti sono già custoditi in caveau “good delivery” e le controparti applicano hair-cut standardizzati fra pari grado. Questo non cambia la prassi retail/commercial dove il costo-beneficio resta sfavorevole.
Conclusione
Dal punto di vista tecnico-normativo l’oro potrebbe essere usato come collaterale, ma solo rispettando requisiti che ne fanno lievitare costi, burocrazia e capitale regolamentare. Per un istituto di credito generalista non ne vale la pena: la banca punta su garanzie più facili da valutare, registrare e liquidare (immobili, titoli quotati, contante). Chi vuole monetizzare l’oro fisico trova invece mercati specializzati (compravendita) o, in ultima istanza, il credito su pegno – uno strumento antico, ma tuttora il principale canale per trasformare rapidamente i lingotti in liquidità.